La biblioteca teologica del Monastero di Strahov a Praga

La bacheca dei libri, ha come modello questa immensa fonte di conoscenza perché: "La lettura è per la mente ciò che l'esercizio è per il corpo

Novità e successi della NORD Editore

Ecco le novità da non perdere e il successo di "Vita dopo vita" che come sottolinea l'Espresso:«La nostra eroina muore e rinasce innumerevoli volte; e il lettore la segue in un crescendo di suspense che sta la fantascienza e il miglior realismo magico. Un romanzo così non si era mai visto.»

Novità e successi della Dunwich Edizioni

La Porta dei cieli, il thriller archeologico protagonista del Blog Tour ancora in corso; Il successo dell'horror "William Killed The Radio Star" uno sfondo musicale dalla intricata indagine psicologica e le attese novità legate ai concorsi della Dunwich.

I 5 romanzi finalisti del Premio Strega 2014.

Ecco i romanzi candidati a entrare nell'immortale albo d'oro del Premio. Il favorito è "Non dirmi che hai paura" vincitore del Premio Strega Giovani. Alla finale del 3 Luglio ha vinto il prezioso elisir Francesco Piccolo con "Il desiderio di essere come tutti".

Novità editoriali da non perdere

Ecco le fresche letture che hanno attirato la mia attenzione. Da un Amore Alieno a Per sempre insieme,dalla passione di Così come sei al distopico fantasy Mystic city, ma un Eccezione serve sempre quindi non perdetevi l'eccezionale caos di sentimenti scritta dall'islandese Audur...

martedì 17 settembre 2013

Cate, io: “l’amore per me stessa avevo finito di stamparlo dai miei dodici anni. Era andato fuori catalogo dopo una sola edizione”

Parliamo di...   
               Matteo Cellini

 Matteo Cellini, è un giovane professore di lettere presso la scuola media, originario di Urbino e cosa più importante scrittore d’esordio, del libro Cate, io con cui si è meritato il Premio Campiello Opera Prima, è stato anche selezionato tra i 12 libri semifinalisti nel Premio Strega, e anche se non ha superato la semifinale, il suo è un libro di grande qualità e dal forte impatto, perché con una scrittura semplice, velata dalla grande autoironia della protagonista, riesce a trattare un tema molto delicato, quello dell’obesità giovanile, attraverso la vita supereroica di Caterina o Cate, una diciassettenne in lotta contro se stessa e il mondo, e lei salva tutti e soprattutto se stessa, con la sua intrepida super ironia tipo:
Siamo gli eroi della dismisura, perché avere chili di troppo è questione di quantità, poi più niente.
Per fare me hanno impiegato più pongo che per fare te. Però siamo uguali.
Potremmo essere, ad esempio due pugili: io rientrerei nei massimi e tu nei pesi piuma, ma non ci sarebbe altra differenza.
Al mercato, mi si vendesse a peso costerei di più: tu meno, ma saremmo entrambi sogliole, totani o capponi”.
 Cate, io, è un romanzo in prima persona e la voce narrante è la protagonista la giovane e povera Caterina, che attraversa il periodo più difficile quello dell’adolescenza con parecchi chili di troppo che la rendono un fenomeno agli occhi dei suoi coetanei, che naturalmente la isolano e la deridono, ma lei cerca di reagire alla difficile situazione in cui si trova con una mordace autoironia che dovrebbe consolare il suo animo ferito e solo sperando in un futuro migliore dove lei è accettata e la sua famiglia una silhouette.  La qualità dell’argomento trattato con impareggiabile stile, la studiata psicologia di Cate, hanno messo questo libro e il suo autore in ottima luce di fronte alla critica letteraria, ma cosa ne pensano i lettori come noi?
Scopriamolo godendoci un po’ di Cate, io e poi decidiamo se merita un posto tra i nostri libri in lettura.
 Mi chiamo Caterina mentre mio fratello attorciglia elastici alle cose nell’altra camera e mia madre chiama. È freddo come di regolo ogni mattino, sarebbe da cucirsi il piumone
addosso ma me ne sto così, col pigiama solamente. Scendo dal letto, e sono ancora Caterina. Sento le cose di là strette tra gli elastici staccarsi, immagino l’infinità
di nodi sciogliersi e la gioia del lieto fine. In cucina è appena più caldo, papà già da un pezzo è ai fornelli e il macchia di un odore forte l’aria come un cane dalmata. Sulla tavola è pieno di cose che non mi appartengono, molte sono di mio padre. Ha gli abiti da lavoro coi segni dei pennelli e tutto il resto; Oscar siede già tutto sporco di latte e biscotti intorno alle labbra, ha un naso rotondo come un bottone da cappotto, rosso come un pulsante per la distruzione del mondo, e mi viene da spingerlo, e mi viene da dire pulisciti, non è un trogolo quello, ma ci rinuncio. Mia mamma scende le scale in vestaglia, impreca contro gli elastici, dice mangiamo senza di lui che non può proprio lasciare. Mangiamo e siamo noi misura di tutte le cose, mangiamo e sembriamo noi una famiglia normale; le sedie sembrano solo più strette, le posate un po’ piccole e nient’altro. E io sono ancora Caterina, e le  cose sono le cose, o lo rimangono appena più che fuori di qui, oppure non ci si pensa, ecco tutto. Cogli occhi nella tazza sento il rumore del latte che scivola nelle gole, il respiro non è affannato perché è di tutti affannato, e finisse il mondo tra le pareti di questa casa nessuno lo definirebbe affannato, ma normale. Oscar canticchia sigle di cartoni animati e mio padre tace, mamma riepiloga le cose del giorno fissando il vuoto come non fosse veramente vuoto ma pieno di fogli di block notes, io dalla mia posso starmene tranquilla, godermi la discesa bollente del latte come fossi un termosifone, contentarmi di essere semplicemente Caterina.  Mi alzo e bacio babbo immobile sulla sedia, come un punto e virgola; ha come sempre una reazione da punto a capo: preme un bacio maiuscolo su di me, poi raggiunge Oscar e mamma e si china su di loro; dice “Buona giornata a tutti!” e scompare nel suo quotidiano paragrafo di lavoro. Io intanto afferro Oscar per una mano e lo trascino su fino in camera. Mentre mi vesto si raggomitola nel mio letto e mia madre disotto sparecchia. Oscar si addormenta di nuovo come ogni mattino, oltre la porta Gionata armeggia con dei riflettori molto forti e io incomincio a soffrire piano come se questi pantaloni e questa felpa mi soffocassero, come fossero una camicia di forza. In bagno copro le occhiaie e spazzolo i capelli fissandomi allo specchio fino a non vedere più niente, ritorno in camera, scuoto mio fratello che si sveglia, “i vestiti da mettere sono quelli sulla sedia, non quelli nel tuo cassetto, ricordati”, poi lo bacio e sparisco con lo zaino sulle spalle, e sparisco davvero, ogni gradino una lettera del mio nome, ogni passo un colpo di gomma. Sono irriconoscibile quando saluto mamma sulla porta, e non perché ho mezza faccia sotto la sciarpa, semplicemente, come il più triste dei supereroi, la mia identità scompare appena esco di casa, appena supero la cancellata – e non sono più Caterina. Mi chiamo Cater-pillar ora, mi chiamo Cate-ciccia. Anche se non c’è nessuno. Cammino e ho il mio costume indosso: un panneggiato, indolente, fluttuante manto di grasso. Sono una supereroina e risolvo problemi. Salvo il mondo. Sono la possibilità ambulante di un paragone che salva; che toglie dalle mani la palma della più brutta, della più grassa, della più sola. Sono Cate-bomba, un residuo bellico inesploso dai tempi delle medie.  Cammino per Urbania, ottomila anime appena, attraverso il piazzale del cinema, la scalinata delle Poste e penso a New York, o Gotham City: una fuga di grattacieli, il buio di un vicolo lunghissimo e sei lontano, di nuovo alla tua identità; una ragnatela, un colpo di mantello e sei sopra gli occhi di tutti, tra le nuvole. Ti sottrai al vestito e sei di nuovo te, mentre io rimango, perduro, in posa costante per tutte, tutte le fotografie. Io non posso mutarmi d’aspetto, posso solo trovare rifugio, frapporre qualcosa, un muro, una porta, un cancello, un taglio di capelli a forma di sipario, un trucco da imbianchino, una dieta portentosa, una dieta a zona, una dieta di soli frutti, una dieta senza carboidrati.  La mia vita è stata sin qui nient’altro che il tentativo di togliermi questo costume da supereroe. Sul pullman arrivo tra i primi per non comparire di fronte alla platea, per non percorrere il corridoio tra i 13 sedili, come una ridicola passerella; mi siedo in seconda fila tra i primini, rivolta al finestrino. Non ho compiti da copiare, non ho appunti da ripassare, non ho amiche con cui condividere qualcosa. Mi hanno confinata qui, murata in me stessa. Avranno pensato che grassa come sono potevo ricavare da me un’amica o due con cui chiacchierare, trascorrere il tempo; che fossimo più persone in una.  Il rumore della strada e la controffensiva del sonno, le parentesi quadre dell’iPod rendono quasi piacevole, dimentico il viaggio fino a Urbino. All’apertura delle porte cigolanti del pullman i giorni peggiori immagino guardie giurate e il refrain dead woman walking fuoriuscire dagli altoparlanti. Scendo invece nel silenzio oggi e mi accompagno ad alcune che sono colleghe, nient’altro. Oggi l’Annoievole Anna è assente, c’è Angela invece, e Giulia. Fino all’uscita dal pullman non vedo nessuno dei miei, perché entrano in fondo, perché siedono in fondo, nel presbiterio, dove non ho mai chiesto spazio.  “Ciao, Cate”, dice Giulia mentre Angela mi fa un segno con la testa mozzata dalle volute di fumo; saliamo insieme perché andiamo nello stesso posto, qualche volta parliamo della prof di lettere “che ci capisce”, dei compiti e dell’esame che si avvicina. Spesso taciamo però e per me sarebbe niente male, ma debbono sentirsi in colpa in qualche modo, pensano forse che la vita giusta e desiderabile scorra attraverso le loro vite e non attraverso la mia, così dicono, ad esempio: “Allora, come va?”, che invece di stabilire un contatto mi spedisce a migliaia di anni luce, annerendo il vuoto che dovrebbe non esistere tra coetanee e compagne di classe. Io fieramente rispondo un “bene” armato di tutto punto, risentito quasi: non sono malata e non lo sono stata, non vengo da nessuna convalescenza. Chissà se qualcuno mai avrà ironizzato, le volte che manco, sulla possibilità ridicola di incasellare la mia assenza in uno spazio così piccolo, come bastasse una minuscola a corsiva a cancellare tutta questa ciccia. Se qualcuno, in quei giorni, avrà mai indicato la mia sedia esclamando: “Oggi riprenderai fiato!” o tutta la classe: “Non vi sembra vuota, oggi?”. Chissà. Per evitare che si parli di me non manco mai. Ci sono sempre, per tenermi vicini i nemici, per evitare che la situazione mi sfugga di mano. Per non dover chiamare qualcuno per i compiti. Cosa che non faccio mai, se non in vista di una verifica: senza domandare studio le dieci pagine successive, faccio tutti gli esercizi. Faccio terra bruciata. Ma non manco mai e sono sempre avanti sul programma. E sì: sono la migliore della classe. Difficile a credersi. Di solito una palla di lardo è vittima di una catastrofica educazione alimentare, sbagliata in tutti i campi della vita per l’irresponsabilità di genitori amanti prematuri e sposi giovani – partiti male e finiti peggio.  Invece no. Nel mio mare di trigliceridi nuotano un sacco di neuroni, e con molto agio per giunta. Perderei tutte le gare di corsa, ma se si tratta di ragionamenti non sbaglio una partenza e non manco mai il traguardo. Non manco mai nulla. Sono sempre presente, sono la prima della classe. ...

“Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica basteranno a fare la mia felicità fino alla morte” François Truffaut

Buongiorno, appassionati di cultura. Libri, musica e film, sono gli elementi giusti per augurarvi una splendida giornata che potrebbe concludersi con un tuffo nei ricordi, con la visione del film di  François Truffaut, Fahrenheit 451.
 Dovunque si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini.
Heinrich Heine
 Nulla è più vero delle parole di Heinrich Heine, che il grande regista della storia del cinema François Truffaut, ne sottolinea l'autenticità con la pellicola Fahrenheit 451, del 1966, e trasporta sul grande schermo l’omonimo romanzo di Ray Bradbury, dove in una dispotica società fantascientifica, i libri sono diventati fuorilegge e il fascino della lettura tenta il protagonista Montag, che inizia a lottare contro il sistema, protetto da una comunità che cerca di preservare il contenuto dei libri imparandoli a memoria. Un film storico dove i protagonisti sono i LIBRI, un segno di questo grande regista, per sottolineare il suo grande amore per la letteratura e le arti. Eccola la dichiarazione da cui è stata tratta la citazione di oggi.
 Ho mangiato quasi tutti i giorni, ho dormito quasi tutte le notti, secondo me ho lavorato troppo, non ho avuto abbastanza soddisfazioni né gioie. La guerra mi ha lasciato indifferente e lo stesso vale per i cretini che la facevano. Amo le Arti e in particolare il cinema, ritengo che il lavoro sia una necessità come l'evacuazione degli escrementi e che chiunque ami il suo lavoro non sappia vivere. Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica basteranno a fare la mia felicità fino alla morte, che un giorno dovrà pure arrivare e che egoisticamente io temo. I miei genitori sono per me soltanto degli esseri umani, è solo il caso che fa di loro mio padre e mia madre, è per questo che per me non sono che degli estranei. Ecco tutta la mia avventura. Non è né allegra né triste, è la vita. Non fisso a lungo il cielo perché quando i miei occhi ritornano al suolo il mondo mi sembra orribile.